Il trapianto di midollo osseo
Lo scopo di un trapianto di midollo osseo è la
sostituzione delle cellule staminali ematopoietiche malate o danneggiate
da terapie, al fine di ripristinarne la funzionalità.
Negli ultimi anni i progressi in questo campo sono
stati enormi sotto tutti gli aspetti: la donazione, la fonte delle
cellule staminali, le indicazioni al trapianto e soprattutto la riduzione
della mortalità.
Donazione
Trent'anni fa il trapianto di midollo si identificava
col trapianto allogenico: l'unico donatore possibile era infatti un
familiare – di solito un fratello del paziente – compatibile per il sistema HLA
(Human Leucocyte Antigens).
Oggi i donatori possono essere familiari compatibili,
familiari non compatibili, individui non consanguinei o il paziente stesso. In
questo caso si parla di trapianto autologo.
Fonte delle cellule staminali
Trent'anni fa l'unica sorgente di cellule staminali
era il midollo osseo del donatore. Oggi per un trapianto autologo le cellule
staminali ematopoietiche possono essere ottenute dal midollo, dal sangue
periferico, dal cordone ombelicale. È quindi più corretto parlare in
generale di trapianto di cellule staminali ematopoietiche (HSCT: Hematopoietic
Stem Cell Transplant).
Indicazioni per il trapianto
Trent'anni fa il trapianto veniva eseguito quasi
esclusivamente in casi di leucemia acuta. Oggi le indicazioni comprendono varie
patologie del midollo osseo (le leucemie acute, le leucemie croniche, le forme
di insufficienza midollare, le talassemie, i linfomi di Hodgkin, i linfomi non
Hodgkin, il mieloma, altre malattie mieloproliferative croniche), i tumori
solidi, il tumore della mammella, numerose malattie genetiche e molto
recentemente le malattie autoimmuni.
Riduzione della mortalità trapiantologica
Il rischio trapiantologico (mortalità da trapianto) si
è ridotto drasticamente negli ultimi anni. Una recente indagine, condotta su
22906 pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche negli
ultimi 25 anni in Europa, ha rilevato che la mortalità da trapianto, che era
del 41% prima del 1984 e del 32% tra il 1985 e il 1989, dal 1990 è scesa al
25%.
L'indagine rivela anche che la probabilità di successo
è superiore per pazienti trapiantati in fase precoce di malattia (il 44% a 10
anni dal trapianto) rispetto a quelli trapiantati in fase avanzata (il 26% a 10
anni). Questa è la premessa per allargare l'indicazione a pazienti in fase
sempre più precoce di malattia.
Questi straordinari progressi e le grandi potenzialità
di questa procedura sono testimoniati dall'enorme incremento del numero dei
trapianti: nel 1973 sono stati eseguiti in Europa 16 trapianti, nel 1983 erano
1353, nel 1993 erano 7737 e nel 1999 erano 17800, dei quali 5733 allogenici e
12067 autologhi.
Il trapianto di midollo osseo non è un'operazione chirurgica!
Il midollo osseo sano prelevato a un donatore (o
eventualmente al paziente stesso, in precedenza) viene perfuso al paziente,
esattamente come per tutti gli altri prodotti ematici, con una trasfusione.
A questo punto le cellule staminali del nuovo midollo
migrano dal sangue alle cavità delle ossa, dove cominciano a produrre cellule
del sangue.
Tuttavia, nonostante questa apparente semplicità, il
trapianto di midollo osseo è una procedura biologica complessa, che può anche
presentare alcuni rischi per la vita del paziente.
Trapianto di midollo allogenico
Trapianto in cui il paziente riceve le cellule
staminali ematopoietiche (o il midollo) da un donatore, non consanguineo o
consanguineo, non gemello mono-ovulare.
Il nuovo midollo trasfuso al paziente deve essere il
più possibile compatibile con la mappa cromosomica del suo midollo. Per
accertare questa compatibilità vengono effettuati particolari esami del sangue.
Se il midollo del donatore e quello del ricevente non hanno una buona
compatibilità il trapianto è destinato a fallire. Può accadere infatti che il
nuovo midollo percepisca il corpo del paziente come materiale estraneo da
attaccare e distruggere (questa condizione è nota come Graft-versus-Host
Disease o GvHD) oppure che il sistema immunitario del paziente distrugga il
nuovo midollo osseo (in questo caso si tratta di rigetto del trapianto e, per
la sopravvivenza del paziente, sarà necessario trasfondergli di nuovo una dose
del suo proprio midollo, prelevata e conservata a questo scopo prima dei
trattamenti chemioterapici e radioterapici).
Se il donatore è un gemello identico, si parla di
trapianto isogenico.
Trapianto di midollo autologo Trapianto in cui il paziente riceve il proprio midollo, precedentemente prelevato e eventualmente trattato.
Trapianto di midollo autologo Trapianto in cui il paziente riceve il proprio midollo, precedentemente prelevato e eventualmente trattato.
In questo tipo di trapianto alcune complicazioni
tipiche del trapianto allogenico, come la Graft-versus -Host
Disease (GvHD), non si presentano. Anche il rischio di infezioni è inferiore
perché non sono necessarie le dosi elevate di immunosoppressori che vengono
somministrate ai pazienti sottoposti a trapianto allogenico per limitare
l'entità della GVHD, quindi in genere non sussiste il rischio di infezione da
CMV o, se si presenta, non ha le conseguenze che possono intercorrere col
trapianto allogenico.
Il trapianto autologo è indicato per molti pazienti
affetti da malattia di Hodgkin (non tutti), da linfomi non Hodgkin, da cancro
al seno, alle ovaie o ai testicoli, oppure da tumori solidi pediatrici. In genere
si tratta di patologie che non coinvolgono il midollo osseo, per la cui terapia
sono però necessarie dosi elevate di chemioterapia e/o di radiazioni. Queste
distruggono il midollo osseo del paziente, che quindi non è più in grado di
produrre le cellule del sangue. Il trapianto autologo permette di reinfondere
al paziente il suo stesso midollo osseo, prelevato prima delle terapie, quindi
non danneggiato.
Il trapianto autologo ha dato nuove speranze anche a
pazienti affetti da leucemia, che non abbiano trovato un donatore di midollo
compatibile. In questo caso però non si può reinfondere al paziente il suo
stesso midollo, che potrebbe contenere cellule leucemiche, senza operare una
"purificazione" (purging) dalle cellule maligne. Questa tecnica è
attualmente in via di perfezionamento.
La preparazione al trapianto (il cosiddetto
condizionamento) è molto simile a quella adottata per il trapianto allogenico e
consiste in una chemioterapia che può essere accompagnata da una radioterapia
su tutto il corpo (Total Body Irradiation o TBI).
I fattori che determinano se per un paziente è
indicato il trapianto autologo sono, oltre alla patologia, lo stadio a cui
questa è arrivata, la precedente risposta ad altri trattamenti, l'età del
paziente, le sue condizioni fisiche generali. Sarà l'ematologo a valutare.
Trapianto di midollo isogenico Trapianto in cui il
paziente riceve le cellule staminali ematopoietiche (o il midollo) da un
gemello mono-ovulare.
Chi può donare
Per un paziente
per cui è indicato un trapianto di midollo osseo il donatore ideale è un
fratello (o naturalmente una sorella) compatibile. Purtroppo però solo nel 35
per cento dei casi i pazienti hanno un fratello il cui midollo osseo sia
perfettamente compatibile con il loro. Negli altri casi si può reperire un
donatore estraneo in uno dei registri internazionali di donatori di midollo
osseo , oppure prendere in considerazione un trapianto non perfettamente
compatibile o un trapianto autologo.
In ogni momento di questo percorso è possibile recedere dall'intenzione di donare il proprio midollo osseo.
Prelievo del midollo
L'aspirante donatore che ha superato tutte queste fasi viene ricoverato in ospedale. Qui, sotto anestesia, gli viene prelevata una piccola quantità di midollo osseo (circa un millesimo del patrimonio totale) per mezzo di un ago inserito nelle creste iliache posteriori. L'intervento dura circa un'ora e richiede tre o quattro giorni di degenza. La quantità di midollo prelevata si ricostituirà in qualche settimana.
Non tutti gli aspiranti donatori arrivano alla fine di questo processo: alcuni non vengono mai chiamati perché i loro dati genetici non coincidono con quelli di alcun paziente in lista d'attesa; altri non superano le indagini genetiche successive.
I dati dei donatori che hanno raggiunto l'età di 55 anni vengono rimossi dal registro.
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